Ci siamo cresciuti qui, sappiamo tutto di questi posti, è vero… ma non capisci che la montagna non è nostra soltanto, che non possiamo fare finta di nulla? […] anche i nostri vecchi sono arrivati da altri posti, non possiamo fermare la Storia.
Quando pensiamo ai flussi di migrazione nel nostro paese, l’immagine che si presenta alla mente è quella di barconi pieni di uomini donne e bambini disperati che approdano sulle nostre coste. Era così negli anni novanta in Puglia a Brindisi, è così oggi per Lampedusa.
Poi l’immagine diventa quella dei centri di smistamento, di accoglienza e la ricollocazione.
Molti sanno che la maggior parte di chi sbarca nel nostro paese è in transito, lo fa per approdare poi in altri paesi d’Europa, come Germania e Francia su tutti. Molti altri fanno finta di non saperlo.
Ma se la storia dell’arrivo dei migranti è ben conosciuta, meno nota è invece quella del flusso di migranti che vuole uscire dal nostro paese. Se ne parla solo se succede qualcosa di importante ai confini della costa, come Ventimiglia.
Ma ce n’è un’altra di rotta migratoria, invisibile ai più, di cui si parla poco, di cui sono rari i servizi del TG e gli articoli di giornale.
Il transito dei migranti al confine alpino.
Eppure storicamente è stato luogo e teatro di innumerevoli episodi di passaggio: dai fuggitivi ai migranti, dai contrabbandieri agli emigranti. Una storia di soccorso alpino che ha ben più di un secolo di racconti e aneddoti specie tra le due Guerre Mondiali.
Sono tanti gli uomini che muoiono sorpresi dalle basse temperature, bloccati dalla neve, dalla perdita dell’orientamento, intrappolati in passi e valichi che senza attrezzatura ed esperienza è quasi impossibile superare.
Dal barcone nel mare al passaggio delle Alpi, direzione Francia o Svizzera, il passo è breve o lungo, dipende dalla storia del singolo migrante. Magari dopo un anno di lavori nei campi come uno schiavo o magari dopo un mese di soggiorno in un centro accoglienza. Non è importante in fondo, l’importante è, come ci dice Virginia Farina nel suo libro, rispettare la legge dell’uomo, del buon senso, della tradizione.
Le nuove leggi varate dai governi sono andate in contrasto con la tradizione e le leggi non scritte marittime e montane. Prestare soccorso è sempre stato un dovere sia in mare che in montagna. Oggi è più complesso e si crea una frattura tra le leggi della montagna e del mare, e quelle degli stati dell’Unione Europea. In mezzo a quella frattura si svolge la storia di questo libro che prende spunto da chi in quelle terre ci vive, ama la montagna, seppellisce i morti che trova lungo i passaggi e che fa i conti con la propria coscienza.
Tutti i giorni.
La resistenza e la vita trovano però sempre la loro strada da percorrere e così una piccola neonata, figlia di immigrati clandestini, è l’unica superstite di un gruppo sfortunato che ha pagato con la vita il passaggio della frontiera.
La bimba viene presa da Touni e portata da Polly. Due dei protagonisti del libro sono svelati e la loro presenza è quella più pura, dei montanari fedeli ai loro principi arcaici di soccorrere chi si perde in montagna e che decidono di seguire la legge morale. Come farà Berto, disilluso barista che raccoglierà il testimone da Touni.
Non è importante pensare alle conseguenze, importante è solo fare la scelta giusta.
Un libro che illumina le zone d’ombra dei flussi migratori nascosti e che per questo ci insegna a vedere quello che non viene mostrato.
Un compito che viene svolto con una scrittura delicata, descrittiva, a tratti immersiva e che ci porta a conoscere la montagna e i suoi ritmi, tempi lenti e scanditi dalle stagioni, dove però l’uomo è centrale e ribellarsi a una legge ingiusta è considerato un dovere morale.
Senza dimenticare l’insegnamento più importante del libro, narrato dai protagonisti: nella nostra storia siamo tutti fuggiaschi da qualcosa o qualcuno, siamo stati a nostra volta degli immigrati.
Noi siamo gli altri!
Foto di copertina di Kyle Johnson – License by Unsplash – Free use